27 aprile 2009

L'inferno - (Parte 1^)



Continuo qui la serie di Post dedicati ai Novissimi, cioè alle realtà ultime che per la Fede esistono oltre la nostra esistenza terrena.
Questo è dedicato all'Inferno.




Il catechismo di Pio X recitava: "L’Inferno è il patimento eterno della privazione di Dio, nostra felicità, e del fuoco, con ogni altro male senza alcun bene". Dopo la morte, secondo la dottrina cattolica, il giudizio (particolare) se è di condanna conduce all’Inferno. L’Inferno rimane essenzialmente un mistero, benché Dio, attraverso la Bibbia, la Patristica, i pronunciamenti della Chiesa e le rivelazioni private, abbia voluto darci al riguardo alcune certezze. La società odierna, impregnata di razionalismo materialista, manifesta la sua ripugnanza verso questa verità di fede; tanto più che si tratta di una verità assolutamente ‘scomoda’.
Ma cosa si può dire sulla natura dell’Inferno? Essendo una conseguenza del peccato, è da questo che si deve partire.
Il peccato ha due aspetti: da una parte è "rifiuto di amore" e quindi egoismo parossistico; dall’altra è "schiavitù assoluta alla materia". A questi due aspetti del peccato, che costituiscono la sua natura, rispondono due pene dell’inferno che formano la natura dell’inferno stesso: la pena del danno e la pena del senso.
La pena del danno
La pena del danno consiste nella privazione eterna dell’unico vero amore, Dio; la pena del senso consiste invece in tutte le restanti pene.
Rifiutando spontaneamente e volontariamente l’Amore, la prima ( e la più terribile) e incomparabile grave pena (quella del danno) consiste nel perdere irrimediabilmente l’Amore Infinito, cioè perdere Colui dal quale proveniamo e per il quale viviamo. Assente questo Amore è ovvio che non ci può essere nulla di positivo, nulla di vero, nulla di vitale, nulla di gioioso, nulla di santo, nulla di realizzato. Già Sant’Agostino nelle sue Confessioni aveva scritto: "O Signore, ci hai creati per Te e il nostro cuore non sarà mai appagato e quieto finché non riposa in Te".
Ma in che cosa consiste concretamente questa pena del danno? Essa consiste nella perdita della "gloria essenziale", cioè nella esclusione dalla visione e dall’unione beatifica di Dio, bene infinito. A ciò si unisce la perdita della "gloria accidentale", dei fratelli, della vera patria, della glorificazione del proprio corpo. Di fronte a tante perdite, a tanto "danno", come si resta? Soli! Col proprio io "fallito". Il dannato ha voluto e vuole (nota bene ‘vuole’) cercare l’assoluto al di fuori di Dio: e così ritrova se stesso senza Dio, se stesso con il suo vuoto, con la sua insoddisfatta apertura verso l’infinito, e con la disperazione di non poterla mai soddisfare: con la sua immensa tensione vitale perennemente e volontariamente frustrata, come un respirare disperato nel rifiuto dell’ossigeno. Egli è un perpetuo orfano volontario, un perpetuo volontario "deluso d’amore", eternamente, nell’istante stesso della delusione…Nulla ha più senso per un deluso d’amore su questa terra: ma può ancora sperare o dormire o ubriacarsi o impazzire o morire…Là invece, per la piena chiarezza dello spirito, la "delusione" sarà lucida, viva, senza distrazioni e senza surrogati, senza alcuna speranza… e sarà privazione di ogni amore, di tutto l’amore. Eternamente affamato e assetato d’amore, il dannato eternamente e volontariamente cercherà disperatamente di avvicinarsi a quest’amore a modo suo, senza voler cioè rinunciare alla sua malizia e al peccato in cui si è pietrificato, e perciò eternamente verrà respinto da Dio che ha in orrore il male e il peccato.
Da notare come la pena di danno sia praticamente una pena infinita. San Tommaso D’Aquino ce ne dà la ragione: "Quanto maggiore è il bene che si perde, tanto maggiore è pure la pena che se ne prova; ora riconoscendo i dannati essere Iddio il sommo ed infinito Bene, è evidente che la sua perdita deve cagionare loro una pena somma e infinita". Un altro Dottore, San Giovanni Crisostomo, dice: "… quand’anche si mettessero insieme mille inferni, sarebbe un nulla in confronto all’essere privi per sempre della vista e dell’Amore di Dio".(nota = questa pena non è contro la giustizia in quanto il peccato essendo un’offesa alla maestà infinita di Dio è una colpa infinita!)
La pena del sensoCirca la pena del senso, cioè l’esistenza delle altre pene oltre quella del danno, la Bibbia parla dell’Inferno come "luogo di tormenti" sia nei suoi effetti che sono "pianto e stridor di denti", sia di un "verme" che rode il dannato e che non muore mai; ma la principale pena del senso, o quella che le compendia tutte, è detta FUOCO: affermazione chiarissima e frequentissima nel Nuovo Testamento (23 citazioni).
La tradizione dei Padri della Chiesa è unanime nel mettere in evidenza l’esistenza della pena del senso. Se ne possono citare alcuni: San Giovanni Crisostomo "Che cosa mi puoi nominare di terribile? Forse la povertà, la malattia, la prigionia, la mutilazione del corpo? Ma questi dolori non sono che cose ridicole rispetto alle pene dell’aldilà" e S. Agostino " Da quello che gli uomini temono sulla terra, riconoscano che cosa debbano temere veramente. Si teme il carcere, e non si dovrebbe temere la Geenna? Si temono i carnefici, e non si dovrebbero temere gli spiriti infernali? Si temono le sofferenze temporali, e non si dovrebbero temere i tormenti del fuoco eterno? Si teme infine di morire per poco, e non si dovrebbe temere di morire per l’eternità?"
Eternità dell’Inferno
E cosa dire dell’eternità dell’Inferno? Essa si evince essenzialmente dall’ostinazione del dannato nella sua volontà perversa. L’eternità dell’inferno, perciò, non è altro che la manifestazione dell’ostinazione eterna nel rifiuto dell’amore: il dannato continua a preferirsi a Dio, nonostante il tormento che deriva da questa sua scelta innaturale e lacerante. Egli ovviamente maledice questo tormento, ma non è affatto disposto a rinunciare alla causa diretta, la sua smisurata malizia.
In conseguenza di ciò è lo stesso dannato che non soltanto si sceglie volontariamente l’inferno, non soltanto si sceglie volontariamente le pene sia del danno sia del senso, ma che sceglie volontariamente anche "l’eternità" dello stesso inferno e delle stesse pene.
Ad un’anima privilegiata fu rivelato che se i dannati e gli stessi demoni si umiliassero chiedendo l’aiuto divino, verrebbero immediatamente salvati da Dio che è infinitamente buono e misericordioso! Ma loro non vogliono (sembra incredibile, ma è così…) per il loro smisurato orgoglio e la loro grande superbia, e preferiscono patire in eterno i supplizi infernali anziché umiliarsi! Ecco perciò perché l’Inferno dura per sempre! Ecco perché non è in contrasto con la Misericordi Divina.
Per concludere diciamo che Dio avendoci creati liberi, cioè dotati del libero arbitrio, non può andare contro la nostra volontà: non può ‘costringerci’ ad amarLo e a fare il bene, (infatti che amore sarebbe quello imposto?) e se persistiamo liberamente e volontariamente nel rifiutare questo Amore, Lui non può fare nulla per noi. Grande mistero, "il mistero del male" di cui parlava pure San Paolo! Gli impenitenti e peccatori ostinati, nel giudizio particolare, si condannano da soli, rifiutano definitivamente, e quindi perdono irreversibilmente, Dio e il Suo Amore.
Ed essendo l’anima "immortale ", non possono che andare in un luogo in cui essere il più lontano possibile da Colui che rifiutano per l’eternità, l’Inferno, creato da Dio stesso a tale scopo!
E lì pienamente coscienti di aver rifiutato il Sommo Bene ne patiscono gli effetti, ne sentono una pena infinita, ma non saranno mai disposti a rinunciare alla loro malizia, rinuncia che li salverebbe!
E lì non potranno che patire tutto il male possibile trovandosi separati, per loro eterna ostinazione e libera scelta, da Colui che è e da cui proviene ogni Bene!

Testimonianza di un'anima dannata
Coma fatto nel Post sul Paradiso, pubblico qui una testimonianza in cui parlerebbe un’anima, in questo caso purtroppo 'dannata'. Ovviamente anche qui non è possibile dire se la lettera proviene effettivamente dall’aldilà o sia frutto della fantasia di chi l’ha scritta, ma ritengo che sia comunque di lettura interessante perché può contribuire ad ispirarci un salutare 'Timor di Dio'..
(e la Sacra Scrittura dice che 'il Timor di Dio' è il principio della Sapienza...)

(Da - "Lettera dal mondo di là" (1952) (con Imprimatur) (Ed. Coletti – Roma) ):

Fra le carte di una signorina, morta giovane in convento, è stato trovato il seguente manoscritto…
(Segue il contenuto dello scritto in cui la signorina rivela che aveva un’amica che dopo essersi sposata non aveva più rivista. La notte della morte di questa sua amica, dopo aver pregato per la sua anima, si sentì svegliare da un forte rumore e alzatasi trovò sul pavimento la lettera seguente, a quanto pare scritta con la calligrafia della sua amica defunta!) :

"Clara non pregare per me! Sono dannata. Se te lo comunico, non credere che ciò avvenga a titolo di amicizia.
Noi qui non amiamo più nessuno. Lo faccio come costretta (…).
In verità vorrei vedere anche te approdare a questo stato, dove io ho gettato ormai l’ancora per sempre.
Non stizzirti di questa intenzione. Noi qui pensiamo tutti così. La nostra volontà è impietrita nel male. Anche quando noi facciamo qualche cosa di ‘bene’, come io ora, spalancandoti gli occhi sull’Inferno, questo non avviene con buona intenzione.(…)
Non fossi mai esistita! Potessi ora annientarmi, sfuggire a questi tormenti! (…)
Ma io devo esistere, Devo esistere così, come mi sono fatta io: con una esistenza fallita. (..)
Parole come pregare, messa, acqua santa, chiesa, le scrivo con una ripugnanza interna senza pari. Aborrisco tutto questo, come aborrisco chi frequenta la chiesa e in genere tutti gli uomini e tutte le cose.
Da tutto infatti ci deriva tormento. Ogni cognizione ricevuta in punto di morte, ogni ricordo di cose vissute o sapute è per noi una fiamma pungente. E tutti i ricordi ci mostrano quel lato che in essi era Grazia. Che noi sprezzammo. Quale tormento è questo!
Noi non mangiamo, non dormiamo, non camminiamo con i piedi. Spiritualmente incatenati, guardiamo inebetiti ‘con urli e stridor di denti’ la nostra vita mandata a monte: odiando e tormentati! Senti? Noi qui beviamo l’odio come l’acqua. Anche l’uno verso l’altro. Soprattutto noi odiamo Dio. Te lo voglio rendere comprensibile.
I beati in cielo devono amarlo, perché essi lo vedono senza velo, nella sua bellezza abbagliante. Ciò li beatifica talmente, da non poterlo descrivere. Noi lo sappiamo e questa cognizione ci rende furibondi.
Gli uomini in terra, che conoscono Dio dalla creazione e della rivelazione, possono amarlo; ma non ne sono costretti. Il credente – lo scrivo digrignando i denti – il quale, meditabondo, contempla Cristo in croce, con le braccia stese, finirà con l’amarlo.
Ma colui, al quale Dio si avvicina solo nell’uragano, come punitore, come giusto vendicatore, perché un giorno fu da lui ripudiato, come avvenne di noi, costui non può che odiarlo. Con tutto l’impeto della sua malvagia volontà. Eternamente. In forza della libera risoluzione di essere separati da Dio: risoluzione con la quale, morendo, abbiamo esalato l’anima nostra e che neppure ora ritiriamo; e non avremo mai la volontà di ritirarla. Comprendi ora perché l’inferno dura eternamente? Perché la nostra ostinazione giammai si scioglierà da noi.
Costretta, aggiungo che Dio è misericordioso persino verso di noi. Dico ‘costretta’. Poiché, anche se scrivo questa lettera volutamente, pure non mi è permesso di mentire, come volentieri vorrei. Molte cose metto in carta contro la mia volontà. Anche la foga d’improperi che vorrei vomitare, la devo strozzare. Dio fu misericordioso verso di noi col non lasciare esaurire sulla terra la nostra malvagia volontà, come noi saremmo stati pronti a fare. Ciò avrebbe aumentato le nostre colpe e le nostre pene. Egli ci fece morire anzitempo, come me, o fece intervenire alcune circostanze mitiganti. Ora, egli si dimostra misericordioso verso di noi col non costringerci ad avvicinarci a Lui più di quanto lo siamo in questo remoto luogo infernale; ciò diminuisce il tormento. Ogni passo che mi portasse più vicino a Dio mi cagionerebbe una pena maggiore di quella che a te recherebbe un passo più vicino a un rogo ardente.
Già da piccola non amavo assolutamente nessuno, ma ero solamente affezionata ad alcune persone che erano buone verso di me. Amore, senza speranza di contraccambio terreno, vive solo nelle anime in stato di Grazia. E io non lo ero. (..)
Tu mi ammonisti una volta: ‘Anna, se non preghi più, vai alla perdizione!’. Io pregavo davvero poco, e anche questo solo svogliatamente. Ora so che tu avevi purtroppo ragione. Tutti coloro che bruciano all’Inferno non hanno pregato, o non hanno pregato abbastanza. La preghiera è il primo passo verso Dio. E rimane il passo decisivo. Specialmente la preghiera a colei che fu la Madre di Cristo, il nome della quale noi non nominiamo mai. La devozione a Lei strappa al demonio innumerevoli anime, che il peccato gli consegnerebbe infallibilmente nelle mani.
Proseguo il racconto consumandomi d’ira e solo perché devo. Pregare è la cosa più facile che l’uomo possa fare sulla terra. E proprio a questa cosa facilissima Dio ha legato la salvezza di ognuno. A chi prega con perseveranza Egli a poco a poco dà tanta luce, lo fortifica in maniera tale, che alla fine anche il peccatore più impantanato si può definitivamente rialzare. Fosse pure ingolfato nella melma fino al collo. Negli ultimi anni della mia vita non ho più pregato come di dovere, e così mi sono privata delle grazie, senza le quali nessuno può salvarsi.
Qui non riceviamo più nessuna grazia. Anzi, quand’anche noi le ricevessimo le rifiuteremmo cinicamente.(..) Tutte le fluttuazioni dell’esistenza terrena sono cessate in quest’altra vita. Da voi l’uomo può salire dallo stato di peccato allo stato di Grazia o viceversa. Con la morte questo salire e scendere finisce. Già col crescere degli anni i cambiamenti divengono più rari. E’ vero, fino alla morte si può sempre rivolgersi a Dio o voltargli le spalle. Eppure, quasi trascinato dalla corrente, l’uomo, prima del trapasso, con gli ultimi deboli resti della volontà si comporta come era abituato in vita. La consuetudine, buona o cattiva, è divenuta seconda natura. Questa lo trascina con sé.
Così avvenne anche a me.
Da anni vivevo lontana da Dio. Per questo, nell’ultima chiamata della Grazia, mi risolsi contro Dio. Non il fatto che io peccassi spesso fu per me fatale, ma che io non volli più risorgere. All’influsso del demonio non credetti mai. Ed ora attesto che egli influisce gagliardamente sulle persone che si trovano nella condizione in cui mi trovavo io allora. Soltanto molte preghiere, di altri e di me stessa, congiunte con sacrifici e sofferenze, mi avrebbero potuta strappare da lui. (..) Io odio anche il demonio. Eppure egli mi piace perché cerca di rovinare voialtri (..)
Benché io camminassi per sentieri lontani da Dio, Dio mi seguiva. (..) Talvolta Dio mi attirava in una chiesa: Allora sentivo come una nostalgia (..) (…) non credevo più nella presenza di Cristo nel sacramento. Ora ci credo, ma solo naturalmente, come si crede in un temporale di cui si scorgono gli effetti.
Intanto mi ero accomodata una religione a mio modo. (..) A poco a poco mi creai io stessa un dio: sufficientemente dotato da essere chiamato Dio; lontano abbastanza da me da non dover mantenere nessuna relazione con lui (..) Questo dio non aveva nessun paradiso da regalarmi e nessun inferno da infliggermi. Lo lasciavo in pace e mi lasciava in pace. (..) "
(Segue la storia della propria vita in particolare racconta come conobbe quello che sarebbe diventato suo marito togliendolo con l’inganno ad un’altra ragazza:)
"Avevo saputo rendergliela odiosa, parlando freddamente: all’esterno positiva, nell’interno vomitando veleno. Tali sentimenti e tale contegno preparano eccellentemente per l’inferno. Sono diabolici nel più stretto senso della parola "
( continua dicendo che fece di tutto per possederlo..)
"In ciò consistette la mia apostasia da Dio: elevare una creatura a mio idolo. Era il tempo in cui in ufficio mi scagliavo velenosa contro i chiesaioli, i preti, le indulgenze, e simili sciocchezze. ..nel più intimo di me non si trattava, in verità, di queste cosa; io cercavo piuttosto un sostegno contro la mia coscienza per giustificare anche con la ragione la mia apostasia. In fondo in fondo mi rivoltavo contro Dio
(racconta la vita fatta di viaggi e divertimenti insieme al marito a causa di una eredità...) (..)
La religione non mandava più che da lontano la sua luce scialba debole e incerta. I caffè della città, gli alberghi, in cui andavamo durante i viaggi, non ci portavano certamente a Dio. Tutti coloro che frequentavano quei luoghi, vivevano come noi, dall’esterno all’interno, non dall’interno all’esterno. (…) Così seppi continuamente scacciare da me la Grazia, ogni volta che bussava.
Lascivo libero sfogo al mio malumore in modo particolare su certe rappresentazioni medioevali dell’inferno nei cimiteri o altrove, nelle quali il demonio arrostisce le anime in braci rosse e incandescenti (…) Clara! L’Inferno si può sbagliare a disegnarlo, ma non si esagera mai! Il fuoco dell’inferno l’ho sempre preso di mira in modo speciale. (..) Io ti dico: il fuoco di cui si parla nella Bibbia, non significa tormento della coscienza. Fuoco è fuoco! E’ da intendersi letteralmente ciò che ha detto Colui: ‘Via da me, maledetti, nel fuoco eterno!’ Letteralmente! ‘Come può lo spirito essere toccato da fuoco materiale?’ domanderai. Come può l’anima tua soffrire sulla terra quando tu metti il dito sulla fiamma? Difatti non brucia l’anima; eppure che tormento ne prova tutto l’individuo! In modo analogo noi qui siamo legati spiritualmente al fuoco, secondo la nostra natura e secondo le nostre facoltà. (..)
Il nostro maggiore tormento consiste nel sapere con certezza che noi non vedremo mai Dio. Come può questo tormentare tanto, dal momento che uno sulla terra rimane così indifferente? Fintanto che il coltello giace sulla tavola, lascia freddi. Immergi il coltello nella carne e ti metterai a gridare dal dolore. Adesso noi sentiamo la perdita di Dio; prima la pensavamo soltanto. Non tutte le anime soffrono in maniera eguale.
Con quanta maggior cattiveria e quanto più sistematicamente uno ha peccato, tanto più grave pesa su di lui la perdita di Dio (…) Tu mi dicesti un giorno che nessuno va all’inferno senza saperlo: ciò sarebbe stato rivelato ad una santa. Io me ne risi. Ma poi mi trincerai dietro questa dichiarazione: ‘Così, in caso di necessità, rimarrà abbastanza tempo per fare una voltata’, mi dicevo segretamente. Quel detto è giusto. Veramente, prima della mia subitanea fine, non conobbi l’inferno com’è. Nessun mortale lo conosce. Ma io ne avevo la piena coscienza: ‘Se muori, vai nel mondo di là dritta come una freccia contro Dio. Ne poterai le conseguenze’. Io non feci dietro-front, come ho già detto, perché trascinata dalla corrente dell’abitudine (…)
La mia morte avvenne così (….)
Mi risvegliai improvvisamente dal buio nell’istante del mio trapasso. Mi vidi come inondata da una luce abbagliante. Fu nel luogo medesimo dove giaceva il mio cadavere. Avvenne come in un teatro, quando nella sala d’un tratto si spengono le luci, il sipario si divide rumorosamente e si apre una scena inaspettata, orribilmente illuminata. La scena della mia vita. Come in uno specchio l’anima mia si mostrò a me stessa. Le grazie calpestate dalla giovinezza fino all’ultimo ‘no’ di fronte a Dio. Io mi sentii come un assassino, al quale durante il processo, viene portata dinanzi la sua vittima esanime. – Pentirmi? Mai! – Vergognarmi? Mai! Però non potevo neppure resistere sotto gli occhi di Dio, da me rigettato. Non mi rimaneva che una cosa: la fuga. Come Caino fuggì dal cadavere di Abele, così l’anima mia fu spinta via da quella vista di orrore. Questo fu il giudizio particolare: l’invisibile Giudice disse: ‘Via da me!’. Allora la mia anima, come un’ombra gialla di zolfo, precipitò nel luogo dell’eterno tormento".

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