23 novembre 2015

L'Inferno

Mi sono domandato spesso perchè esiste l'Inferno  e come possa accordarsi con l'attributo dell'infinita misericordia divina.
Che esista un inferno per i malvagi e un paradiso per i buoni è credenza di quasi tutte le religioni che si sono susseguite nel corso della storia.
E in particolare per il Cristianesimo possiamo dire che ben quattordici volte Gesù nei Vangeli parla di un inferno eterno e forse anche di più i suoi apostoli.
Così come stabilito da papa Benedetto II e numerosi concili successivi, è verità di fede che dopo la morte vi è un giudizio particolare e che l'anima anche se priva temporaneamente del corpo va subito o all'inferno, o in purgatorio o in paradiso.
Essendo Dio infinitamente buono, nel  donare l'esistenza alle sue creature, non aveva pensato di creare anche l'Inferno. Questo fu costretto a farlo solo a causa della ribellione di alcuni, in primis di Lucifero e poi degli altri angeli che lo seguirono.
Insomma, l'Inferno esiste perché così hanno voluto alcune creature, non Dio!

Mi ricordo che il professore di religione del liceo per farci capire la gravità del peccato ci diceva: se voi date uno schiaffo ad un vostro compagno è grave, ma è più grave se lo date ad un professore o ad un vostro genitore, e ancora più grave è se lo date al Preside e gravissimo se schiaffeggiate un Capo di Stato. Ci fece capire che la gravità di una offesa è relativa, si misura anche dall'importanza della persona  verso cui è rivolta. Ne viene quindi che essendo Dio maestà infinità, l'offesa a Lui fatta è di gravità infinita. Quindi il peccato è una offesa incommensurabile verso la divinità.

Alcuni Santi e mistici che hanno potuto capire come è veramente il peccato, visto dall'ottica divina, sono riamasti inorriditi. Ecco fra l'altro perché è stata necessaria la Redenzione: per lavare la colpa del peccato originale che ormai macchiava l'umanità c'era bisogno di una riparazione infinita, con una sofferenza infinita, che solo un Dio poteva offrire. E a questo ci ha pensato Nostro Signore Gesù Cristo figlio di Dio e Dio Lui stesso, con la morte in Croce. Questa, avvenuta  con una sofferenza infinita per amor nostro, è servita una volta per tutte per il perdono della totalità dei peccati passati, presenti e futuri, anche se purtroppo non per tutti gli uomini, ma almeno per molti e precisamente per quelli che vogliono essere salvati, per coloro che accettano di usufruire del dono di questa riparazione illimitata.

L'Altissimo ci ha creato donandoci oltre l'esistenza anche il libero arbitrio. Siamo liberi infatti di scegliere il bene o il male, nonostante Dio ci abbia anche donato una coscienza che ci avverte su ciò che si può fare e ciò che non si può. Ma neanche Dio può costringerci a fare il bene in quanto Egli non può interferire con la nostra volontà. In un certo senso Dio pur essendo Onnipotente limita questa sua facoltà per rispetto verso le sue creature. E qui sta la chiave: possiamo fare il bene o il male, quindi possiamo scegliere di peccare, o di amare Dio ma anche di odiarlo. E abbiamo anche la possibilità di allontanarci definitivamente da Lui. Ecco perciò perché Dio ha dovuto creare l'Inferno: per giustizia e paradossalmente anche per bontà. Per giustizia, perché il malvagio non può avere la stessa retribuzione del buono, perché è giusto punire il male e premiare il bene, e per bontà, essendo infatti quello dell'esistenza un dono immenso e non revocabile, non potendo Dio costringere le sue creature a stargli vicino, ha dovuto creare un luogo dove non c'è e in cui vanno quelli che lo rifiutano in eterno, non costringendoli a stare vicino a Lui, osservando magari la felicità dei beati,provocandogli così meno dolore di quello che riceverebbero con la Sua vicinanza, con la prossimità al Sommo Bene che hanno respinto e che non possono più ottenere!

La misericordia divina si è manifestata in maniera perfetta con la Redenzione, e Dio la offre a tutti per lavare i peccati se si è pentiti del male fatto, ma la si può rifiutare a causa della propria volontà contro cui Dio nulla può! E se questo rifiuto è definitivo, così come avviene al momento della scelta fatta in punto di morte col giudizio particolare, dove può andare l'anima? In un posto e in uno stato in cui Dio non c'è: e cioè all''Inferno! In realtà in quel luogo di tenebre Lui c'è comunque, ma solo indirettamente, a causa della presenza in quel posto orribile dell'opera del suo amore infinito, delle sue creature, che portano impresso nelle loro anime anche se dannate il marchio di fabbrica, la scintilla divina che purtroppo  risulterà soffocata in eterno!

E per quanto riguarda il pentimento e la misericordia spero che nessuno abbia l'ardire di pensare di poterla fare franca solo all'ultimo momento, magari credendo di ottenere il perdono divino senza pentimento. Semplicemente purtroppo non sarà possibile. Perchè bisognerà lottare contro la propria natura e le abitudini acquisite. Infatti non avendo veli e scuse, nel giudizio personale particolare non potremo fingere. Se crederemo nella misericordia divina allora ci pentiremo,  la invocheremo e la otterremo, perché Dio è desideroso di salvarci altrimenti, magari trascinati dalle nostre abitudini e non avendo fiducia in Dio, non ci pentiremo e non la chiederemo, anzi affermeremo orgogliosamente di non averne bisogno, e in questo caso non avremo scampo!
Insomma, la vita eterna è troppo importante per poter rischiare e quindi sforziamoci di arrivare alla nostra morte possibilmente privi del peccato e colmi di opere buone!

Un'altra difficoltà nell'accettare l'idea dell'esistenza dell'Inferno è quella che proviene dal chiedersi il perché Dio, infinita misericordia e onniscienza, possa aver creato anche anime che Lui sa che si danneranno. Questo problema me lo sono risolto così: prima di tutto occorre dire che forse il dono dell'esistenza è superiore a quello della punizione eterna, Dio sa che le anime accettano di essere create pur sapendo che corrono il rischio di rifiutare il loro Creatore ed essere quindi eternamente infelici all'Inferno. Perciò Dio, essendo infinitamente buono e volendo anche donare il libero arbitrio,  è come costretto a creare anche anime che per loro volontà si danneranno, ma per poter fare ciò forse potrebbe nascondere a Se stesso, nel solo attimo della creazione di ogni anima, il destino eterno di questa, in quanto se non lo facesse creerebbe solo quelli che si salveranno e priverebbe del dono dell'esistenza le anime che si danneranno. Insomma sarebbe come se Dio dicesse: non ti faccio il dono infinito dell'esistenza perché so che mi rifiuterai. Sarebbe un atto di ingiustizia nei confronti dell'anima.

D'altronde Dio mostrerebbe anche poca bontà se conoscendolo non comunicasse all'anima che il suo destino ultimo sarà la dannazione! Insomma si creerebbe una come specie di paradosso o corto circuito teologico. Ecco perché forse l'offuscamento della Onniscienza Divina nell'atto della Creazione di un'anima – o anche prima, nella creazione degli angeli - potrebbe essere teologicamente necessaria.
Mettiamola così: forse la Sapienza divina, che conosce il passato, il presente e il futuro, sa che l'anima che crea accetta di essere creata anche con il rischio della dannazione. E quindi la crea. Ma nello stesso tempo l'Onnipotenza divina, per poter correttamente operare, è costretta nell'atto della creazione a nascondere a Se stessa e all'anima il destino ultimo di questa. Se qualcuno mi dice: "ma Dio è Onnisciente e quindi questo non può essere", io rispondo che Dio è anche Onnipotente e, volendo, può porre limiti alle sue possibilità. Infatti ad esempio Dio non agisce contro il libero arbitrio umano cioè per non entrare in conflitto con la sua Giustizia limita la sua Onnipotenza non costringendo un'anima a operare il bene, anche se volendo potrebbe farlo, ad esempio cambiando con un miracolo i desideri e la volontà di quell'anima.. (Comunque voglio sottolineare che quella che ho appena esposto è solo una ipotesi personale, una spiegazione che mi sono dato, non ho la pretesa di affermare che sia le verità).

Tornando al discorso iniziale, allora visto che l'Inferno è necessario a causa della immensa gravità della colpa, cioè del peccato, che è un' offesa infinita alla maestà divina, ed avendo il peccatore impenitente rifiutato la Misericordia - che si è fatta Carne, Sangue e morte in Croce con la Redenzione - allora per Giustizia non potendo egli offrire una riparazione infinita a causa della sua condizione limitata di creatura, l' espiazione deve essere infinita almeno nella durata: ecco perché dell'eternità dell'Inferno. 
Ma oltre a ciò, il fatto è anche che l'Inferno non finirà mai perché i dannati, per loro volontà, sono pietrificati per sempre nella condizione di peccato e di odio verso Dio.
Una veggente una volta chiese perché l'Inferno dura in eterno e le fu risposto che è anche perché  così lo vogliono i dannati, perché determinati nel loro voler fare il male per sempre. Insomma, non possono essere in Paradiso perché sarebbero fuori posto, non potrebbero starci perché continuerebbero a fare il male anche lì! Quindi devono stare all'Inferno e per sempre,  per giustizia ma anche per convenienza!

Alla veggente fu anche detto che se per assurdo un dannato si pentisse e chiedesse il soccorso della Misericordia divina verrebbe immediatamente tolto dall'Inferno. Ma nessun dannato lo farà mai! Paradossalmente il dannato pur soffrendo immensamente, sia per la pena di danno, cioè per la privazione del Sommo Bene, che per la pena di senso, cioè per le altre tremende pene accessorie, mai però abbasserà il suo orgoglio chiedendo a Dio di essere perdonato. Ovviamente non vorrebbe soffrire,  ma nel contempo vorrebbe eternamente fare il male! Insomma a quanto pare l'Inferno dura in eterno anche perché così vogliono quelli che ci abitano!
Qualcuno a questo punto potrebbe pensare che allora l'Inferno potrebbe magari non essere quel luogo orribile che la tradizione ci ha sempre descritto. La risposta non può che essere negativa purtroppo.

Quando ci si riferisce alle pene dell'Inferno si pensa al fuoco inestinguibile e alle altre pene quali il verme che rode e non muore mai, i terrificanti tormenti causati dagli altri dannati e dai demoni, descritte da svariati mistici e di cui riferisco allegando alcuni brani che fanno buona scuola nelle note (1), (2), (3), ma quello che non può essere descritto ma solo vagamente immaginato è la maggior pena che i dannati e i demoni soffrono all'Inferno e che è la più terribile di tutte: essa è la pena di danno.

La pena di danno è la sofferenza causata all'anima dannata dalla  consapevolezza che sarà priva dell'Amore divino in eterno. Sul fatto che questa pena sia così orribile tanto da rasentare qualcosa che ha l'aspetto dell'infinito, lo si può vagamente immaginare se si fa questo semplice ragionamento: quando perdiamo un bene soffriamo in proporzione del valore del bene perduto. Per fare un esempio, una cosa è perdere una moneta altra un patrimonio. Sono ambedue perdite, ma la sofferenza provocata da esse è ben differente, è molto più grande nel secondo caso. Così una cosa è perdere un semplice conoscente, altra un amico, altra ancora una persona che si ama. E quanto più importante per noi è questo amore, tanto più grande è il dolore provato per la sua perdita. Ora, dopo la morte ogni anima avrà la consapevolezza limpida come il cristallo che Dio è  Bene infinito, l'unico vero Amore per cui vale la pena di vivere, quindi la sua perdita definitiva e irrevocabile che dolore pensate potrà provocare? San Tommaso D’Aquino ci dice: "Quanto maggiore è il bene che si perde, tanto maggiore è pure la pena che se ne prova; ora riconoscendo i dannati essere Dio il sommo ed infinito Bene, è evidente che la sua perdita deve cagionare loro una pena somma e infinita". Un altro Dottore, San Giovanni Crisostomo, dice: "… quand’anche si mettessero insieme mille inferni, sarebbe un nulla in confronto all’essere privi per sempre della vista e dell’Amore di Dio".

E mi chiedo perciò se la terribile e continua pena di senso di cui soffrono i dannati non sia paradossalmente  anch'essa un dono della stessa Misericordia Divina, una specie di droga narcotizzante che li fa così pensare meno al tragico e indescrivibile, infinito dolore  provocato loro dalla pena di danno, cioè dalla consapevolezza disperata della perdita irreversibile dell' Amore di Dio...

Chiudo riportando un brano dei dettati a Maria Valtorta, in cui Gesù stesso descrive come è l'Inferno. Altri scritti di esperienze dirette da parte di alcuni mistici li ho inseriti nelle note (1) (2) (3), e questo per non appesantire il discorso fin qui fatto.
Ecco il brano della Valtorta tratto da I quaderni del 1944 (15/1/1944) (ed. Centro Editoriale Valtortiano)

Dice Gesù:“Una volta ti ho fatto vedere il Mostro d’abisso. Oggi ti parlerò del suo regno. Non ti posso sempre tenere in Paradiso. Ricordati che tu hai la missione di richiamare delle verità ai fratelli che troppo le hanno dimenticate. E’ da queste dimenticanze, che sono in realtà sprezzi per delle verità eterne, provengono tanti mali degli uomini.
Scrivi dunque questa pagina dolorosa (…). Scrivi guardando al tuo Gesù che è morto sulla croce fra tormenti tali che sono paragonabili a quelli dell’inferno, e che l’ha voluta, tale morte, per salvare gli uomini dalla Morte.

Gli uomini di questo tempo non credono più all’esistenza dell’inferno. Si sono congegnati un al di là a loro gusto e tale da essere meno terrorizzante alla loro coscienza meritevole di molto castigo. Discepoli più o meno fedeli dello Spirito del Male, sanno che la loro coscienza arretrerebbe da certi misfatti, se realmente credesse all’inferno così come la Fede insegna che sia; sanno che la loro coscienza, a misfatto compiuto, avrebbe dei ritorni in se stessa e nel rimorso troverebbe il pentimento e col pentimento la via per tornare a Me.(…)

Ho detto, Io Dio Uno e Trino, che ciò che è destinato all’inferno dura in esso per l’eternità, perché da quella morte non si esce a resurrezione. Ho detto che quel fuoco è eterno e che in esso saranno accolti tutti gli operatori di scandali e di iniquità. Né crediate che ciò sia sino alla fine del mondo. No, che anzi, dopo la tremenda rassegna (Nota – dopo il giudizio universale), più spietata si farà quella dimora di pianto e di tormento, poiché ciò che è ancora concesso ai suoi ospiti di avere per loro infernale sollazzo – il potere nuocere ai viventi e il veder nuovi dannati precipitare nell’abisso – più non sarà, e la porta del regno nefando di Satana sarà ribattuta, inchiavardata dai miei angeli, per sempre, per sempre, per sempre, un sempre il cui numero di anni non ha numero e rispetto al quale, se anni divenissero i granelli di rena di tutti gli oceani della terra, sarebbero meno di un giorno di questa mia eternità immisurabile, fatta di luce e di gloria nell’alto per i benedetti, fatta di tenebre e orrore nel profondo per i maledetti.

Ti ho detto che il Purgatorio è fuoco d’amore. L’Inferno è fuoco di rigore.
Il Purgatorio è luogo in cui, pensando a Dio, la cui essenza vi è brillata nell’attimo del particolare giudizio e vi ha riempito di desiderio di possederla, voi espiate le mancanze di amore per il Signore Dio vostro. Attraverso l’amore conquistate l’Amore, e per gradi di carità sempre più accesa lavate la vostra veste sino a renderla candida e lucente per entrare nel regno della Luce e i cui fulgori ti ho mostrato giorni sono.

L’Inferno è il luogo in cui il pensiero di Dio, il ricordo del Dio intravisto nel giudizio particolare non è, come per i purganti, santo desiderio, nostalgia accorata ma piena di speranza, speranza piena di tranquilla attesa, di sicura pace che raggiungerà la perfezione quando diverrà conquista di Dio, ma che già dà allo spirito purgante un’ilare attività purgativa perché ogni pena, ogni attimo di pena, li avvicina a Dio, loro amore; ma è rimorso, è rovello, è dannazione, è odio. Odio verso Satana, odio verso gli uomini, odio verso se stessi.

Dopo averlo adorato, Satana, nella vita, al posto mio, ora che lo possiedono e ne vedono il vero aspetto, non più celato sotto il maliardo sorriso della carne, sotto il lucente brillio dell’oro, sotto il potente segno della supremazia, lo odiano perché causa del loro tormento. 
Dopo avere, dimenticato la loro dignità di figli di Dio, adorato gli uominu fino a farsi degli assassini, dei ladri, dei barattieri, dei mercanti di immondezze per loro, adesso che ritrovano i loro padroni per i quali hanno ucciso, rubato, truffato, venduto il proprio onore e l'onore di tante creature infelici, deboli, indifese, facendone strumento al vizio che le bestie non conoscono - alla lussuria, attributo dell'uomo avvelenato da Satana - adesso li odiano perchè causa del loro tormento.
Dopo avere adorato se stessi dando alla carne, al sangue, ai sette appetiti della loro carne e del loro sangue tutte le soddisfazioni, calpestando la Legge di Dio e la legge della moralità, ora si odiano perché causa del loro tormento.

La parola ‘Odio’ tappezza quel regno smisurato; rugge in quelle fiamme; urla nei cachinni dei demoni; singhiozza e latra nei lamenti dei dannati; suona, suona, suona come una eterna campana a martello; squilla come una eterna buccina di morte; empie di sé i recessi di quella carcere; è, di suo, tormento, perché rinnovella ad ogni suo suono il ricordo dell’Amore per sempre perduto, il rimorso di averlo voluto perdere, il rovello di non poterlo mai più rivedere.
L’anima morta, fra quelle fiamme, come quei corpi gettati nei roghi o in un forno crematorio, si contorce e stride come animata di nuovo da un movimento vitale e si risveglia per comprendere il suo errore, e muore e rinasce ad ogni momento con sofferenze atroci, perché il rimorso la uccide in una bestemmia e l’uccisione la riporta al rivivere per un nuovo tormento. Tutto il delitto di aver tradito Dio nel tempo sta di fronte all’anima nell’eternità; tutto l’orrore di aver ricusato Dio nel tempo sta per suo tormento presente ad essa per l’eternità.

Nel fuoco le fiamme simulano le larve di ciò che adorarono in vita, le passioni si dipingono in roventi pennellate coi più appetitosi aspetti, e stridono, stridono il loro ricordo (…).
Fuoco risponde a fuoco. In Paradiso è fuoco di amore perfetto. In Purgatorio è fuoco di amore purificatore. In Inferno è fuoco di amore offeso. (…) Poiché i maledetti arsero di tutti i fuochi, meno che del Fuoco di Dio, il Fuoco dell’ira di Dio li arde in eterno. E nel fuoco è gelo.
Oh! Che sia l’Inferno non potete immaginare. Prendete tutto quanto è tormento dell’uomo sulla terra: fuoco, fiamma, gelo, acque che sommergono, fame, sonno, sete, ferite, malattie, piaghe, morte, e fatene un’unica somma e moltiplicatela milioni di volte. Non avrete che una larva di quella tremenda verità. Nel calore insostenibile sarà commisto il gelo siderale. (…) E il gelo li attende per congelarli dopo che il fuoco li avrà salati come pesci messi ad arrostire su una fiamma. Tormento nel tormento questo passare dall’ardore che scioglie al gelo che condensa.


(…) Voi non sapete e non credete. Ma in verità vi dico che vi converrebbe di più subire tutti i tormenti dei miei martiri anziché un’ora di quelle torture infernali.
L’Oscurità sarà il terzo tormento.Oscurità materiale e oscurità spirituale. Esser per sempre nelle tenebre dopo aver visto la luce del Paradiso ed essere nell’abbraccio della Tenebra dopo aver visto la Luce che è Dio! Dibattersi in quell’orrore tenebroso in cui si illumina solo, al riverbero dello spirito arso, il nome del peccato per cui sono in esso orrore confitti! Non trovare appiglio, in quel rimestio di spiriti che si odiano e nuocciono a vicenda, altro che nella disperazione che li rende folli e sempre più maledetti. Nutrirsi di essa, appoggiarsi ad essa, uccidersi con essa. La morte nutrirà la morte, è detto. La disperazione è morte e nutrirà questi morti per l’eternità. (..)

________________________________________________________________

Note 
 
(1) Dal Capitolo XXXII del – Libro della mia vita – di Santa Teresa d’Avila (1565)  (Oscar Mondadori 1986)
“Passato gran tempo da quando il Signore mi aveva fatto già molte grazie suddette e anche altre, assai notevoli, mentre un giorno ero in orazione, mi sembrò di trovarmi ad un tratto tutta sprofondata nell’inferno, senza sapere come. Capii che il Signore voleva farmi vedere il luogo che lì i demoni mi avevano preparato e che io avevo meritato per i miei peccati. Tale visione durò un brevissimo spazio di tempo, ma anche se vivessi molti anni, mi sembra che non potrei mai dimenticarla.
L’entrata mi pareva come un vicolo assai lungo e stretto, come un forno molto basso, scuro e angusto; il suolo, una melma piena di sudiciume e di un odore pestilenziale, in cui si muoveva una quantità di rettili schifosi. Nella parete di fondo vi era una cavità a modo di un armadietto incassato nel muro, dove mi sentii rinchiudere in uno spazio assai ristretto. Ma tutto questo era uno spettacolo financo piacevole in confronto a quello che qui ebbi a soffrire. Ciò che ho detto comunque è mal descritto.
Quello che sto per dire, però, mi pare che non si possa neanche tentare di descriverlo né si possa intendere: sentivo nell’anima un fuoco di tale violenza che io non so come poterlo dire; il corpo era tormentato da così intollerabili dolori che, pur avendone sofferto in questa vita di assai gravi, anzi, a quanto dicono i medici, dei più gravi che in terra si possano soffrire – perché i miei nervi si erano tutti rattrappiti quando rimasi paralizzata – tutto è nulla in paragone di quello che ho sofferto lì allora, tanto più al pensiero che sarebbero stati tormenti senza fine e senza tregua.

Eppure anche questo non era nulla in confronto al tormento dell’anima: un’oppressione, un’angoscia, una tristezza così profonda, un così accorato e disperato dolore che non so come esprimerlo. Dire che è come un sentirsi continuamente strappare l’anima è poco, perché, morendo, sembra che altri ponga fine alla nostra vita, ma qui è la stessa anima a farsi a pezzi. Io non so proprio come descrivere quel fuoco interno e quella disperazione che esasperava così orribili tormenti e così gravi sofferenze. Io non vedevo chi me li procurasse, ma mi pareva di sentirmi bruciare e dilacerare; ripeto, però, che il supplizio peggiore era dato dal quel fuoco e da quella disperazione interiore.
Stavo in un luogo pestilenziale, senza alcuna speranza di conforto, senza la possibilità di sedermi o distendere le membra, chiusa com’ero in quella specie di buco scavato nel muro. Le stesse pareti, orribili a vedersi, mi gravavano addosso dandomi un senso di soffocazione. Non c’era luce, ma tenebre fittissime. Io non capivo come potesse avvenire questo: che, pur non essendovi luce, si vedesse ugualmente ciò che potesse dar pena alla vista.
Il Signore allora non volle mostrarmi altro dell’inferno; in seguito, però, ho avuto una visione di cose spaventose, tra cui il castigo di alcuni vizi. Al vederli mi sembravano ben più terribili, ma siccome non ne provavo la sofferenza, non mi facevano tanta paura, mentre in questa prima visione il Signore volle che io sentissi davvero nello spirito quelle angosce e afflizioni, come se le patissi nel corpo. Non so come questo sia avvenuto (…). Sentir parlare dell’inferno è niente di fronte a questa pena, che è ben altra cosa. C’è la stessa differenza che passa tra un ritratto e la realtà; bruciarsi al nostro fuoco è ben poca cosa rispetto al tormento del fuoco infernale.
Rimasi assai spaventata e lo sono tuttora mentre scrivo, benché siano passati quasi sei anni, tanto da sentirmi agghiacciata dal terrore qui stesso, dove sono. (…)
Questa visione mi procurò anche una grandissima pena al pensiero delle molte anime che si dannano e un vivo impulso di riuscire loro utile, essendo, credo, fuor di dubbio, che per liberarne una sola dai quei tremendi tormenti, sarei disposta ad affrontare mille morti assai di buon grado.

(2) Da - Le Rivelazioni della beata Caterina Emmerick (1833)
 L’Abisso Infernale
“Vidi finalmente il Salvatore avvicinarsi, severo, al centro dell’abisso. L’inferno mi apparve come un immenso antro tenebroso, illuminato appena da una scialba luce metallica. Sulla sua entrata risaltavano enormi porte nere, con serrature e catenacci incandescenti.
Urla di orrore si levavano senza posa da quella voragine paurosa di cui ad un tratto si sprofondarono le porte. Così potei vedere un orrido mondo di desolazione e di tenebre.
L’inferno è un carcere di eterna ira, dove si dibattono esseri discordi e disperati. (…) si sprofondano cavernose prigioni, si estendono orrendi deserti e si scorgono smisurati laghi rigurgitanti di mostri paurosi, orribili. Là dentro ferve l’eterna e terribile discordia dei dannati.
Nel Cielo invece regna l’unione dei Santi eternamente beati. L’inferno, al contrario, rinserra quanto il mondo produce di corruzione e di orrore; là imperversa il dolore e si soffrono quindi supplizi in una indefinita varietà di manifestazioni e di pene. Ogni dannato ha sempre presente questo pensiero: che i tormenti che egli soffre sono il frutto naturale e giusto dei suoi misfatti. Quanto si vede e si sente di orribile all’inferno è la essenza, la forma interiore del peccato scoperto, di quel serpe velenoso che divora quanti lo fomentarono in seno durante la prova mortale. Tutto questo si può comprendere quando si vede, ma riesce inesprimibile a parole.

Quando gli angeli che scortavano Gesù, avevano abbattuto le porte infernali, si era sollevato come un subisso di imprecazioni, di ingiurie, di urla e di lamenti. Alcuni angeli avevano cacciato altrove sterminate torme di demoni, i quali avevano dovuto poi riconoscere e adorare il Redentore. Questo era stato il loro maggiore supplizio. Molti di essi venivano quindi imprigionati dentro una sfera, che risultava di tanti settori concentrici.
Al centro dell’inferno si sprofondava un abisso tenebroso, dov’era precipitato Lucifero in catene, il quale stava immerso tra cupi vapori. Tutto ciò era avvenuto secondo determinati arcani divini.
Seppi che Lucifero dovrà essere scatenato per qualche tempo: cinquanta o sessant’anni prima dell’anno 2000, se non erro…
(…) Mentre tratto questo argomento, le scene infernali si prospettano così orripilanti dinanzi ai miei occhi, che la loro vista potrebbe perfino farmi morire.”

(3) Dal diario di Santa Faustina Kowalska (1930)
Oggi, sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell'Inferno.
É un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Queste le varie pene che ho viste: la prima pena, quella che costituisce l'inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi della coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l'anima, ma non l'annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale, acceso dall'ira di Dio; la quinta pena è l'oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l'odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie. Queste sono pene che tutti i dannati soffrono insieme, ma questa non è la fine dei tormenti. Ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda ed indescrivibile.

Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni supplizio si differenzia dall'altro. Sarei morta alla vista di quelle orribili torture, se non mi avesse sostenuta l'onnipotenza di Dio. Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l'eternità. Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno c'è mai stato e nessuno sa come sia. Io, Suor Faustina, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è. Ora non posso parlare di questo. Ho l'ordine da Dio di lasciarlo per iscritto. I demoni hanno dimostrato un grande odio contro di me, ma per ordine di Dio hanno dovuto ubbidirmi. Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno. Quando ritornai in me, non riuscivo a riprendermi per lo spavento, al pensiero che delle anime là soffrono così tremendamente, per questo prego con maggior fervore per la conversione dei peccatori, ed invoco incessantemente la misericordia di Dio per loro."

4 commenti:

  1. Professore,
    Lei ha il dono di rendere facili cose difficili, spiegandole in maniera così gentile ed amabile da rimanere incantati. Grazie.

    RispondiElimina
  2. Grazie, d'altronde "spiegare" fa parte del mio mestire :-)

    RispondiElimina
  3. Veramente difficile capire un tal mistero: la Sua ipotesi non mi convince ma non so trovarne di alternative. Un giorno capiremo. Con la genesi di don Bortoluzzi si comprenderebbe il male umano. Ma non il male di Lucifero e dei suoi angeli. Però come Adamo (e prima Eva) peccò prima nella mente che col corpo per analogia cos'ì peccarono nella mente gli angeli. Ma Dio che vedeva? Non volle vedere? Il bene era superiore al male di certo però e la libertà era necessaria...
    Comunque grazie molte.

    RispondiElimina

Non verranno pubblicati interventi fuori tema o con semplici rimandi con link